Bio
Graphic e digital design studio fondato da Giulia Bardelli, Andrea Guccini e Michele Pastore a Bologna. La collaborazione inizia nel 2018 – tra Italia e Olanda – sulla traccia di un iter ricorsivo di contaminazione tra digitale ed editoriale. Multidisciplinarietà e poliedricità permettono allo studio di sviluppare sistemi di comunicazione visiva duraturi, rilevanti e distintivi, con un approccio strategico basato su una marcata componente metodologica ed al contempo versatile.
Sebbene il vostro studio sia stato fondato di recente (nel 2021 ndr), avete collaborato assieme sin dal 2018. Qual è stato il motore che vi ha spinto a fare questo passo e a unire le vostre attività? Se sì, potresti descrivere il processo che avete seguito per giungere a questa decisione?
[Andrea] È stata una scelta naturale, ma non di pancia. Come dicevi abbiamo lavorato assieme per diversi anni su singoli lavori. Ai tempi Michele era quello che aveva più progetti e tendeva a coinvolgere molto le persone (e io ero felice di collaborare). Giulia lavorava per altri studi e nel settore del no-profit, e parallelamente avevamo progetti che portavamo avanti assieme. Ci abbiamo comunque ragionato molto, l’idea è rimasta nell’aria per almeno un anno. Alla fine abbiamo trovato un progetto nuovo, bello e stimolante, adatto per testare una collaborazione ufficiale tra tutti e tre. È andato molto bene e tutto il resto è venuto da sé. Abbiamo messo sul tavolo i nostri obiettivi e le nostre ambizioni in modo da partire con un’idea comune e condivisa e avere basi solide. Ci siamo posti tutte quelle domande le cui risposte era meglio definire da subito, dalle più esistenziali fino ai dettagli. Che tipo di studio vogliamo essere? Chi fa cosa? Che orari ci diamo? Come troviamo clienti? Quanto vogliamo arrivare a guadagnare? Come ci chiamiamo? E così via. Chiaramente c’è molta sintonia sia a livello umano che, banalmente, a livello di gusti. Oltre a questo, per essere più pragmatici, abbiamo competenze complementari grazie alle quali riusciamo a coprire le esigenze dei nostri clienti a 360° (per quanto riguarda la comunicazione s’intende!). Quest’ultimo è stato sicuramente uno dei fattori che ha fatto crescere rapidamente lo studio in questi due anni.
Lo studio è composto da Andrea e Michele che sono più improntati al branding e all’editorial design ma poi c’è Giulia che invece ha una vena più da web developer, oltre che essere visual designer. Come avviene l'interazione tra questi due mondi nel vostro lavoro? E in che modo avviene lo scambio e l'influenza reciproca tra di voi?
[Andrea] Come accennato prima abbiamo competenze complementari, non vorrei però che passasse il messaggio che Giulia fa solo web, io editoria e Michele identità. Siamo tutti e tre designer che hanno studiato grafica e lavorato in studi dove si è fatto un po’ di tutto. Quindi se ad esempio entra un progetto di branding ci lavoriamo tutti allo stesso modo, così come siamo in grado tutti e tre di progettare un libro (e anche bene!). Ognuno poi, per interesse, per necessità o anche per caso, ha approfondito degli ambiti specifici.
Michele, grazie al concorso vinto nel 2014 sul Bologna city branding (assieme a Matteo Bartoli), ha sviluppato forti competenze sull’identità territoriale e nel lavorare con enti pubblici (non a caso abbiamo vinto nel 2022 il concorso per l’identità della Capitale Europea della Cultura 2025 e di recente il concorso per l’identità del sistema dei Forti Piemontesi).
Giulia, durante i suoi anni in Olanda, è arrivata ad unire la progettazione visiva al codice grazie ad un Master e a esperienze lavorative (tra cui quella con quei badass dello studio Harris Blondman) che le hanno fatto emergere una forte attitudine alla sperimentazione e alla ricerca uscendo dalle logiche tradizionali del web. Approccio che portato in Italia rimane molto bello, But Maybe™, non ti fa fatturare un granché, e per adattarlo al bel paese è stata utile la sua esperienza pragmatica nel settore sociale no-profit.
Le mie esperienze mi hanno portato a occuparmi tanto di editoria, soprattutto quella a Londra da Unit Editions / Spin e quella a Trieste da Tassinari/Vetta. Oltre a questo, per curiosità e interesse personale, negli anni ho approfondito l’ambito del motion design, che ora è un servizio che offriamo a tutti gli effetti. I nostri diversi background si portano dietro differenti approcci alla risoluzione dei problemi, contribuendo così a mitigare la soggettività nel risultato finale. Giulia ha un approccio più logico e tende a scomporre e analizzare il problema, Michele più umanistico/filosofico. Io non lo so, metto parole e immagini nello spazio e sono contento.
Attualmente il vostro studio si concentra fortemente sul branding a 360 gradi, ma come prevedete l'evoluzione dei vostri progetti nei prossimi anni? Immaginate una possibile transizione verso un focus maggiore sul digital?
[Andrea] In realtà al momento il nostro studio si concentra su tutto ciò che richiede una progettazione della comunicazione. A volte ci chiediamo se la mancanza di un focus settoriale non possa diventare un problema, ma la verità è che ci divertiamo e le cose stanno andando molto bene. In questo momento ad esempio i progetti che stiamo seguendo spaziano dal branding all’editoria, dal motion al web, dall’allestimento ai social. Anche la clientela è molto variegata: enti pubblici, aziende private, cultura, sanità, no-profit, turismo, food, ambiente e tanto altro. È una vera fortuna per noi perché gli stimoli sono sempre diversi e non ci annoiamo mai. Oltre a questo, è tendenzialmente difficile che un progetto di branding o di identità visiva si concluda con la realizzazione del manuale: solitamente ci viene chiesto di portare avanti la comunicazione e tendiamo ad accompagnare l’evoluzione del cliente stesso (infatti ci occupiamo anche di strategia). In futuro vedremo, ma al momento mi pare che abbiamo più voglia di ampliare piuttosto che di settorializzarci.
Avendo ciascuno di voi esperienze formative diverse e un background lavorativo indipendente, come gestite il processo di progettazione quando dovete unire le vostre menti per creare un progetto unico? In che modo vi organizzate o suddividete i compiti, se lo fate?
[Andrea] Sull’unire le nostre menti in parte ho già risposto prima.
Per quanto riguarda l’organizzazione invece, ogni progetto ha un referente unico che gestisce rapporti col cliente, organizza il gantt e coordina gli altri. Quando parte un lavoro nuovo la prima fase di sketch è molto libera e ci immergiamo tutti (è il momento più divertente!). Poi ci scambiamo le bozze, ne parliamo, vengono idee nuove, approfondiamo, riparliamo, riscambiamo e perfezioniamo finché non arriviamo alla proposta da presentare. Cerchiamo di mostrarci tutto ciò che produciamo senza filtri perché, per citare Munari, “da cosa nasce cosa”. A volte da un’idea scadente nasce una vincente. Uno sketch brutto può attivare un pensiero a un’altra persona che porta poi a qualcosa di interessante. A volte la direzione giusta arriva all’ultimo, a volte è la prima che viene in mente. Oltre ai progetti nuovi, come dicevo, abbiamo anche molti lavori continuativi: in questo caso sono i referenti a occuparsene di più e se serve smistano le task in base a impegni, competenze o sostenibilità generale dello studio.
In passato, c'era un'aspirazione comune a entrare negli studi di grafica più rinomati, mentre oggi sembra che molte persone preferiscano avviare il proprio studio. Quali pensate siano i principali cambiamenti che hanno determinato questa trasformazione?
[Andrea] C’è questa tendenza? Onestamente non saprei. Forse più che una preferenza è una scelta dovuta al fatto che il panorama lavorativo sta cambiando: ci sono sempre più grafiche e grafici, gli studi assumono sempre meno, il concetto di lavoro si sta evolvendo. Devo dire che a noi arrivano davvero tantissime richieste (approfitto per chiedere scusa se non riusciamo a rispondere sempre). Non so quanto in passato fosse diverso, quando facevo l’università il mio sogno era aprire uno studio o lavorare in uno di quelli che amavo. Sono stato molto fortunato perché alla fine sono riuscito a fare entrambe le cose.
Come vedi il mondo dell’istruzione nell’ambito del design in Italia?
[Giulia] Il panorama è sicuramente variegato e – ci sentiamo di dire – in evoluzione. Da docenti, ma anche da ex studenti con background diversi, riconosciamo senza dubbio una marcata differenza nell’approccio tra le università sul territorio. I parametri differenziali riguardano soprattutto l’eterogeneità delle competenze trasmesse e l’aderenza al tessuto socio-economico contemporaneo.
[Michele] Interdisciplinarità, ricerca e sperimentazione; sono queste le caratteristiche principali delle scuole che a nostro avviso eccellono. La formazione didattica in progettazione grafica deve aiutare gli/le studenti/studentesse a comprendere l’importanza della ricerca, dell’analisi e dei processi. Questo tipo di approccio insegna a pensare in modo critico, non solo producendo risultati estetici, ma anche soluzioni efficaci e funzionali alle realtà del mondo in cui viviamo.
[Giulia] Per arrivare a formare in tal senso è sicuramente necessario andare oltre il mero binomio esame–voto. Questo implica un significativo cambio di mentalità dello/a studente/studentessa, che deve essere supportato non solo dalle persone che insegnano, ma anche da uno sforzo corale del sistema universitario.
Come vedi il ruolo del giovane grafico in Italia?
[Giulia] Partiamo dal presupposto che la nostra visione è sicuramente viziata dal posizionamento dello studio, attorno cui orbitano persone con visioni più o meno consapevolmente affini. Nelle ragazze e nei ragazzi che incontriamo in aula o che passano da qui vediamo una forte necessità di emancipazione, intesa soprattutto come volontà di distaccarsi dai canoni lavorativi tradizionali. La professione grafica – come del resto molto altre – sta sicuramente mutando in relazione al panorama socio-politico. Ad esempio vediamo un crescente interesse verso le tematiche sociali, o una preferenza per realtà piccole, in un certo senso indipendenti. Dal nostro punto di vista questa presa di coscienza rappresenta un segnale positivo, ma implica indubbiamente la necessità che la nostra figura professionale diventi sempre più flessibile per riuscire a rispondere alle esigenze comunicative in continua evoluzione della società.
Che consiglio daresti al giovane grafico che si approccia al mondo del lavoro oggi in Italia?
[Michele] In primo luogo c’è il bisogno di formare una solida conoscenza delle basi metodologiche progettuali, inclusi software e strumenti più recenti. È importante anche acquisire competenze complementari, che permettano di lavorare a fianco di professionalità diversificate come ad esempio chi sviluppa siti o una conoscenza base dei principali principi di marketing.
La capacità di comunicare efficacemente con i clienti e di lavorare in team è infatti tanto importante quanto l’abilità tecnica. Non crediamo nei/nelle tuttologi/tuttologhe, pensiamo invece che sia importante adottare un approccio multidisciplinare. Essere flessibili e adattabili è quindi indispensabile, poiché – come anticipato prima da Giulia – il panorama del design grafico è in costante evoluzione.