Quella degli ephemera è una categoria di artefatti ancora ampiamente sottovalutata, dalla ricerca così come dalle istituzioni. Esigua è la letteratura a riguardo e il tema della loro catalogazione e conservazione all’interno di archivi e collezioni è ancora irrisolto. Per la loro natura, per le loro dimensioni, per il loro scarso valore economico, per il loro essere oggetti multipli o per la loro funzione temporale, si fatica a riconoscere il capitale informativo che questi oggetti materializzano, sia nel breve periodo in cui vengono consumati, sia nel loro “afterlife”, per la ricerca e la storiografia.
Essi sono la traccia sensibile di un evento passato, a partire dai quali, attraverso un’attenta analisi, è possibile ricostruire la struttura informativa, il network, l’architettura del contesto che li ha generati. L’evoluzione dei media, in particolar modo nel XX secolo, ha avuto un impatto indiscusso nella trasformazione dell’architettura e del suo dibattito, portando il nucleo del discorso oltre le mura dell’edificio, abbracciando temi e settori esterni alla disciplina. Data la natura connettiva degli ephemera e data la possibilità del ripensamento che attraversa il termine architettura, la tesi si chiede se è possibile parlare di ephemera come architettura e, se sì, come essa funzioni.
In seguito all’analisi teorica, vengono presi in esame gli ephemera presenti all’interno del fondo Giorgio Wenter Marini presso l’Archivio Progetti dell’Università IUAV di Venezia. Wenter Marini ha raccolto e conservato un gran numero di ephemera, che, alla luce della sua tensione per una progettazione totale, fungono da chiave di lettura del lavoro e della vita del progettista. Con il materiale archivistico selezionato, viene sviluppata una narrazione tridimensionale sul tema, intesa come strumento di studio utile a capire come si articola l’architettura di questi ephemera e come essi siano in grado di generare senso.